Gli ultimi pasti di Ötzi

Fin dalla sua scoperta nel settembre del 1991, l’uomo venuto dal ghiaccio, comunemente noto come Ötzi, è stato al centro di convergenti interessi archeologici, medici e scientifici. Si tratta infatti del più antico individuo pressoché perfettamente conservato, vissuto secondo le datazioni radiocarboniche nella seconda metà del IV millennio a.C., morto per una ferita da freccia mentre si trovava presso lo spartiacque alpino, fra gli odierni Alto Adige e Austria, e andato incontro a mummificazione naturale grazie alla disidratazione, combinata al gelo delle alte quote; la conservazione del corpo e dell’equipaggiamento permette un livello di dettaglio nelle conoscenze su una vicenda individuale cui l’archeologia non è avvezza, occupandosi normalmente di gruppi in generale o di individui ridotti in scheletri o ceneri, dotati di pochi oggetti non deperibili resistiti al tempo.

Fra le indagini di maggiore interesse figurano certamente quelle sull’alimentazione, un campo nel quale, ancora una volta, l’archeologia è in grado di individuare comportamenti generali e cambiamenti di lungo periodo, ma quasi mai di sapere con certezza cosa mangiasse un singolo, tanto meno di ricostruire un pasto specifico. Se si considera che nel caso di Ötzi si ha a che fare naturalmente con gli ultimi pasti prima della morte, circostanza che non può lasciare indifferenti, si capisce anche una certa risonanza dell’argomento presso il largo pubblico e il periodico fiorire di notizie sui giornali, per lo più precise anche se semplificate, in parte invece con evidenti forzature da “clickbait”, fino a parlare nei titoli di un presunto consumo di speck[1]. In verità la ricostruzione di questi pasti è meno immediata di quanto si possa pensare, a partire dal recupero dei campioni da analizzare. In un primo tempo si prelevarono limitati campioni dal solo colon, nell’intestino crasso, analizzati al microscopio[2]; una svolta si ebbe nel 2000, quando la mummia venne completamente scongelata per la prima volta e fu possibile estrarre campioni di contenuto più abbondanti, sia dall’ileo che dal colon. Va sottolineato come all’epoca lo stomaco, anche a seguito delle radiografie, fosse ritenuto vuoto e dunque non sia stato considerato. I campioni prelevati sono stati analizzati con microscopio ottico e, in seguito, tramite analisi di archeogenetica, dopo essere stati opportunamente idratati e trattati.

Prelievo campioni dal tratto gastro-intestinale di Ötzi (MAIXNER et alii 2018, p. 2349)

Le prime indagini archeogenetiche[3] hanno individuato il DNA di specie vegetali e animali, smentendo fra l’altro definitivamente una precedente ipotesi di dieta vegetariana, o addirittura vegana, fondata su una controversa analisi isotopica dei capelli, oltre che sull’abrasione dei denti[4]. Per il DNA vegetale bisogna distinguere fra i macro-residui, ovvero i resti di cibo, e i micro-residui, ovvero i pollini: solo i primi hanno certamente a che fare con gli ultimi pasti, mentre i secondi possono essere stati ingeriti involontariamente respirando o bevendo acqua, dunque hanno più a che vedere con la ricostruzione ambientale e climatica. Riguardo ai macroresidui, è stato individuato DNA di cereali della tribù delle Triticeae, presenti sicuramente nei campioni del colon, presumibilmente in quelli dell’ileo. Nel colon era inoltre presente DNA dell’ampia classe dei dicotiledoni, di cui fanno parte alcune specie non meglio identificate di erbe, frutti e bacche selvatiche; occorre qui ricordare che accanto al corpo fu trovato un frutto conservato di prugnolo, la prugna selvatica.[5]

Prugnolo (Prunus spinosa), una delle possibili specie della classe dei dicotiledoni. Immagine da coltivazionebiologica.it.

Più precisa è risultata l’analisi del DNA animale, che ha individuato lo stambecco (capra ibex) nei campioni del colon e il cervo rosso (cervus elaphus) in quelli dell’ileo. È interessante anche l’individuazione in tutti i campioni di DNA umano, che tuttavia gli autori, forse con eccessivo automatismo, ritengono di Ötzi stesso o dovuto a contaminazioni.

Cervo rosso (Cervus elaphus), immagine da Wikipedia.
Stambecco (Capra ibex), foto personale.

I pasti ricostruibili da questa ricerca sono dunque due: uno precedente, contenuto nel colon, costituito da cereali, piante selvatiche e carne di stambecco; uno più recente, contenuto nell’ileo, a base di carne di cervo e forse ancora di cereali. Alla luce di questi risultati, tra l’altro, gli autori escludono che i frammenti ossei di stambecco trovati nei pressi di Ötzi fossero avanzi del suo ultimo pasto (come si era ipotizzato), essendo questo a base di cervo; la scoperta di un contenuto anche nello stomaco, tuttavia, avrebbe cambiato le carte in tavola, declassando a penultimo pasto quello che si riteneva fosse l’ultimo.

È del 2008 infatti l’individuazione radiografica dello stomaco, risultato pieno, e da allora è stato possibile indagare l’intero tratto gastro-intestinale, fino alla più recente ricerca edita nel 2018[6]. In essa si è combinata l’osservazione microscopica con diverse analisi biomolecolari, approfondendo le conoscenze già acquisite e apportando anche alcuni risultati inaspettati.

Al microscopio ottico è stato possibile osservare frammenti di tessuto muscolare dalle fibre organizzate in fasci, riferibili alle carni consumate e già individuati negli studi precedentemente citati. Si sono poi individuati frammenti di cereali tipo Triticum/Secale, in particolare di crusca e gluma, il che fa già dedurre un uso in forma integrale. Inoltre si sono riconosciute spore della felce Pteridium aquilinum, su cui torneremo.

Fibre muscolari (DICKSON et alii 2000, p. 1844).
Frammento di cereale tipo Triticum (MAIXNER et alii 2018, p. 2349).
Spora di felce (MAIXNER et alii 2018, Supplemental Information).

Sono stati poi analizzati i metaboliti, vale a dire le sostanze prodotte dal processo metabolico della digestione e dipendenti dagli alimenti consumati: la presenza di acido azelaico indica cereali integrali, mentre l’acido fitanico potrebbe dipendere tanto dal grasso di animali ruminanti quanto dal consumo di latticini.

L’analisi del DNA ha confermato le specie animali individuate in precedenza, il cervo rosso e lo stambecco, ma le ha rilevate entrambe presenti in tutti i tratti, dallo stomaco fino al colon; questo riabilita l’ipotesi che le ossa di stambecco trovate vicino a Ötzi fossero resti o scorte di cibo, in quanto questa carne fu consumata in tutti e tre i suoi ultimi pasti. È stato anche individuato il DNA dei cereali della tribù delle Triticeae, presenti in tutto il tratto digerente, precisando che si trattava della specie coltivata del Triticum monococcum, ovvero il farricello e anche del Triticum urartu, molto simile al primo ma selvatico.

Farricello (Triticum monococcum), immagine da Wikimedia commons.

Altro DNA individuato, a conferma dell’osservazione microscopica, è quello dello Pteridium aquilinum. Su questo occorre soffermarsi, poiché si tratta di una felce tossica e la sua presenza è dunque piuttosto strana. Già nel primo studio genetico citato, in verità, era stato trovato il suo DNA, ma era stato riferito ai micro-residui ingeriti o inalati involontariamente dall’ambiente, al pari dei pollini. In quest’ultimo invece la grande quantità di spore e DNA ha fatto ritenere che in qualche modo anche la felce avesse a che vedere col pasto. È possibile che le foglie della felce fossero usate per avvolgere del cibo durante il trasporto e che lo abbiano dunque contaminato: l’assunzione non sarebbe dunque intenzionale; in questo, dunque, non differirebbe da quanto in passato ipotizzato per una specie di muschio (Neckera complanata) scoperta nel colon tramite microscopio, in quanto il muschio poteva avere diversi usi ma non quello alimentare. L’articolo però riporta il fatto che l’assunzione intenzionale della felce Pteridium aquilinum è attestata etnograficamente presso alcuni gruppi ancora oggi, senza però indicarne motivazioni pratiche e/o rituali; nelle dichiarazioni alla stampa[7] Albert Zink, direttore dell’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research e parte del team, si è però spinto oltre ipotizzando un uso curativo contro i parassiti presenti nell’intestino[8] e in effetti, aggiungerei, l’ambivalenza di veleno/medicina, a seconda delle dosi, sarà espressa dai Greci secoli dopo col termine “pharmakon”.

Felce tossica (Pteridium aquilinum), immagine da Wikimedia commons.

È stata effettuata anche un’analisi delle proteine animali e vegetali presenti nei campioni, 13 delle quali sono state assegnate alla sottofamiglia delle Triticinae, 6 a quella delle Caprinae e 1 a quella delle Cervinae. Le proteine presenti non solo confermano le specie già individuate tramite DNA – rispettivamente farricello, stambecco e cervo – ma forniscono anche delle indicazioni in più sul loro uso come alimenti: quelle riferibili al farricello infatti provengono prevalentemente dall’endosperma e dal pericarpo e indicano dunque un consumo di cereali integrali, in linea con quanto risulta anche dall’analisi microscopica e dei metaboliti; quelle riferibili allo stambecco indicano una provenienza dal tessuto muscolare, mentre per il cervo mancano proteine diagnostiche sul tipo di tessuto consumato.

Analisi delle proteine (MAIXNER et alii 2018, p. 2350).

Una delle maggiori novità di questa più recente ricerca è stata l’individuazione di una grande quantità di grasso nel contenuto dello stomaco (intorno al 46%). Due sono state le ipotesi riguardo all’origine di questo grasso, ovvero gli animali ruminanti e i latticini, come risultava anche dall’analisi dei metaboliti. Essendo Ötzi intollerante al lattosio, più che al latte si sarebbe dovuto pensare a del formaggio, la cui produzione in Italia settentrionale già nell’età del Rame, pur non ancora attestata archeologicamente, non va esclusa.[9] Per risolvere la questione, si sono confrontati i campioni dello stomaco con campioni moderni di latticini di capra e grasso di animali ruminanti selvatici, tramite la tecnica della cromatografia liquida con spettrometro di massa. Questa tecnica è in grado di individuare diverse molecole organiche e infatti in archeologia è molto usata per individuare residui di contenuto nelle anfore, anche minimi. In particolare, si sono confrontati fra loro i trigliceridi, che erano i lipidi più significativi, e quelli presenti nel contenuto dello stomaco sono risultati indubbiamente confrontabili non con quelli dei latticini ma con quelli dei ruminanti: dunque Ötzi deve aver sfruttato lo stambecco non solo per la carne (tessuto muscolare) ma anche per il grasso (tessuto adiposo). Il consumo intenzionale di così tanto grasso è perfettamente spiegabile come fonte di energia per vivere, spostarsi molto e in generale svolgere intensa attività fisica in montagna e doveva dunque essere piuttosto abituale e non solo legato all’ultimo pasto e alle vicende delle ultime ore di vita. Tuttavia questo tipo di alimentazione, per quanto utile, non è privo di rischi connessi a malattie cardiovascolari, specie ad un’età di quasi 50 anni che, per l’epoca, faceva di Ötzi un anziano: infatti le TAC avevano già evidenziato uno stato di aterosclerosi piuttosto avanzato.

Risultati dell’analisi dei lipidi (trigliceridi) presenti nello stomaco di Ötzi tramite cromatografia liquida. Confronto fra i campioni antichi, il grasso di stambecco e il latte e formaggio di capra (MAIXNER et alii 2018, p. 2351).

Un ultimo aspetto interessante della ricerca riguarda le tecniche di preparazione del cibo. In passato, particelle di carbone trovate nell’intestino erano state riferite alla cottura della carne sul fuoco; il che peraltro ben si accorderebbe con i funghi-esca trovati nell’equipaggiamento dell’uomo, assieme a 2 recipienti in corteccia di betulla trasportanti probabilmente braci da ravvivare all’occorrenza.[10] Per verificare o smentire questa ipotesi, i residui di carne degli ultimi pasti di Ötzi sono stati confrontati con campioni moderni di carne sia cotta, che cruda, che essiccata. Il confronto ha riguardato sia la struttura delle fibre, tramite osservazione microscopica, sia la composizione molecolare, tramite spettroscopia Raman. Quest’ultima è stata impiegata perché applicabile anche alle sostanze organiche, a differenza di altre analisi chimiche come la più diffusa XRF. Struttura e composizione sono risultati prevedibilmente alterati nei campioni di carne cotta, mentre erano molto simili fra la carne cruda ed essiccata e confrontabili con i campioni antichi. Perciò Ötzi non consumò la carne di cervo e stambecco cotta, ma cruda, fosse essa fresca o essiccata. Che fosse essiccata è la soluzione più probabile, per motivi di digeribilità e lunga conservazione e anche perché spiegherebbe le particelle di carbone nell’intestino: il fuoco potrebbe essere stato usato per aiutare l’essicazione (ma senza cuocere) e/o per un’affumicatura. Nulla viene detto invece in questo studio sulla preparazione dei cereali. Ritengo tuttavia che molto probabilmente si presentassero nella forma di una sorta di pane, magari trasportato durante la marcia tenendolo avvolto proprio nelle foglie di felce di cui si diceva. Ötzi infatti non aveva con sé ceramica, ne altri recipienti con cui potesse cuocerli al momento sotto forma di zuppa (anche ammesso che ne avesse il tempo). Peraltro, l’uso del farricello per produrre pane era già stato ipotizzato[11] sulla base di un’altra considerazione, vale a dire del fatto che al microscopio il cereale apparisse macinato, con tanto di micro-residui di pietra provenienti dallo strumento utilizzato; la cottura del pane sul fuoco sarebbe oltretutto un’altra possibile spiegazione delle particelle di carbone presenti nell’intestino.

Risultati dell’analisi dei lipidi (trigliceridi) presenti nello stomaco di Ötzi tramite cromatografia liquida. Confronto fra i campioni antichi, il grasso di stambecco e il latte e formaggio di capra (MAIXNER et alii 2018, p. 2351).

Passando poi dal particolare al generale, dobbiamo chiederci come si inquadrino questi ultimi pasti di un individuo in quello che sappiamo sull’economia di sussistenza dell’età del Rame[12]. Innanzitutto vi è un cereale non selvatico e questo rimanda all’agricoltura, attività che fin dal Neolitico rivoluzionò la vita dell’uomo, facendolo passare da un’economia di caccia e raccolta a un’economia di produzione; ancor più l’agricoltura ebbe importanza nella successiva età del Rame, grazie ad alcune innovazioni come l’aratro, non solo in pianura ma anche in aree montane come l’Alto Adige, sebbene si trattasse ancora di un’attività piuttosto rudimentale, che impoveriva rapidamente i terreni e non consentiva perciò insediamenti di lunga durata. Il Triticum monococcum in particolare, consumato da Ötzi, è stato individuato dalle analisi archeobotaniche in diversi siti di questo periodo in Italia settentrionale; era presente anche a Laces, in Val Venosta, un abitato contemporaneo a Ötzi e molto vicino al luogo del suo rinvenimento e che, dunque, non si può escludere fosse proprio il suo villaggio.

Nella tabella, diverse piante alimentari, sia selvatiche che coltivate, messe in relazione con la quantità di siti dell’età del Rame in Italia settentrionale nei quali sono attestate (da TECCHIATI, CASTIGLIONI, ROTTOLI 2013, p. 94).

Abbastanza curiosa, per quanto risulta da questi ultimi pasti, è la grande assenza dell’altra attività che sempre si accompagna all’agricoltura nelle società di produttori: l’allevamento. Quest’assenza nel cibo è tuttavia ampiamente compensata dall’abbigliamento che, senza scendere in un dettaglio che porterebbe fuori tema, è realizzato prevalentemente in pelli di animali domestici: capra, pecora e vitello[13]. Se nella comunità di Ötzi questi animali domestici fornivano le pelli, senza dubbio fornivano anche la carne e il fatto che non sia stata consumata in tre specifici pasti, in definitiva, va considerato casuale.

Giacca di pelli di capra e pecora (da FLECKINGER, PUTZER, ZINK 2013, p. 238).

Anzi, le analisi archeozoologiche sui resti ossei nei siti dell’età del Rame in Italia settentrionale mostrano sempre una prevalenza delle specie domestiche su quelle selvatiche. Non vanno però sottovalutate queste ultime che, se in alcuni siti sono quasi assenti, in altri registrano percentuali significative, certamente non dovute a un semplice consumo occasionale. E fra i selvatici, primeggia proprio il cervo in quasi tutti i siti.

Nella tabella, rapporto fra resti faunistici di animali domestici e selvatici in diversi siti dell’età del Rame in Italia settentrionale (da TECCHIATI, CASTIGLIONI, ROTTOLI 2013, p. 89).

Perciò la nascita e il progressivo sviluppo di agricoltura e allevamento, pur portando grandi cambiamenti, non produssero un drastico abbandono della caccia che, in modo variabile da zona a zona, continuò a svolgere un ruolo di integrazione non trascurabile, assieme in parte anche alla raccolta (pure attestata dal Triticum urartu e dai frutti selvatici consumati da Ötzi). Solo nell’età del Bronzo si assisterà quasi a una scomparsa della caccia, in parte grazie alla maggior produttività di agricoltura e allevamento, in parte a causa del disboscamento condotto sempre più massicciamente per lasciare spazio proprio a pascoli e colture, riducendo sempre più l’habitat degli animali selvatici. Ai tempi di Ötzi insomma l’uomo non aveva ancora modificato irreversibilmente l’ambiente in cui viveva, ma avrebbe cominciato a farlo poco più di un millennio dopo: senza più fermarsi.

 

Abbreviazioni bibliografiche.

 

DICKSON et alii 2000      J. H. Dickson, K. Oeggl, T. G. Holden, L. L.  Handley, T. C. O’Connell, T. Preston, The omnivorous Tyrolean Iceman: colon contents (meat, cereals, pollen, moss and whipworm) and stable isotope analyses, in Philosophical transactions. Biological sciences 355 (2000), pp. 1843-1849.

FLECKINGER, PUTZER, ZINK 2013       A. Fleckinger, A. Putzer, A. Zink, Ötzi – l’uomo venuto dal ghiaccio, in L’età del rame. La pianura padana e le Alpi al tempo di Ötzi, a cura di R. C. de Marinis, Roccafranca 2013, pp. 235-250.

MACKO et alii 1999      S. A. Macko, G. Lubec, M. Teschler-Nicola, V. Andrusevich, M. H. Engel, The Ice Man’s diet as reflected by the stable nitrogen and carbon isotopic composition of his hair, in FASEB Journal 13 (1999), pp. 559-562.

MAIXNER et alii 2018      F. Maixner, D. Turaev, A. Cazenave-Gassiot, M. Janko, B. Krause-Kyora, M. R Hoopmann, U. Kusebauch, M. Sartain, G. Guerriero, N. O’Sullivan, M. Teasdale, G. Cipollini, A. Paladin, V. Mattiangeli, M. Samadelli, U. Tecchiati, A. Putzer, M. Palazoglu, J. Meissen, S. Lösch, P. Rausch, J. F Baines, B. J. Kim, H.-J. An, P. Gostner, E. Egarter-Vigl, P. Malfertheiner, A. Keller, R. W Stark, M. Wenk, D. Bishop, D. G Bradley, O. Fiehn, L. Engstrand, R. L Moritz, P. Doble, A. Franke, A. Nebel, K. Oeggl, T. Rattei, R. Grimm, A. Zink, The Iceman’s Last Meal Consisted of Fat, Wild Meat, and Cereals, in Current Biology 28 (2018), pp. 2348-2355, e1-e9.

ROLLO et alii 2002       F. Rollo, M. Ubaldi, L. Ermini, I. Marota, Ötzi Last Meals: DNA Analysis of the Intestinal Content of the Neolithic Glacier Mummy from the Alps, in Proceedings of the National Academy of Sciences – PNAS 99.20 (2002), pp. 12594-12599.

TECCHIATI, CASTIGLIONI, ROTTOLI 2013      U. Tecchiati, E. Castiglioni, M. Rottoli, Economia di sussistenza nell’età del Rame dell’Italia settentrionale. Il contributo di archeozoologia e archeobotanica, in L’età del rame. La pianura padana e le Alpi al tempo di Ötzi, a cura di R. C. de Marinis, Roccafranca 2013, pp. 87-100.

 

[1] Si veda, a titolo di esempio: https://www.repubblica.it/scienze/2017/01/19/news/ultimo_pasto_oetzi_speck-156373445/

[2] DICKSON et alii 2000.

[3] ROLLO et alii 2002.

[4]Ipotesi espressa in MACKO et alii 1999 e già messa in discussione in DICKSON et alii 2000, sulla base dell’individuazione microscopica di tessuti di carne, se pur di specie incerta, e contestando metodologicamente il confronto fra gli isotopi in individui antichi e in vegetariani moderni.

[5] DICKSON et alii 2000, p. 1846.

[6] MAIXNER et alii 2018.

[7] Si veda ad esempio: https://tg24.sky.it/scienze/2018/07/12/ultimo-pasto-otzi-mummia-similaun

[8] Si veda DICKSON et alii 2000, in cui si fa riferimento a uova di Trichuris trichiura.

[9] TECCHIATI, CASTIGLIONI, ROTTOLI 2013, p. 90.

[10] Su questi elementi di equipaggiamento, si veda FLECKINGER, PUTZER, ZINK 2013, pp. 240, 244.

[11] DICKSON et alii 2000, p. 1846.

[12] Sulla sussistenza nell’età del Rame e le analisi di seguito citate, si veda TECCHIATI, CASTIGLIONI, ROTTOLI 2013.

[13] Sull’abbigliamento si veda FLECKINGER, PUTZER, ZINK 2013, pp. 237-241.

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